[...] Dopo avere ritrovato a casa dei miei il mio vecchio pigiama Perseo, decisi di utilizzarlo durante il mio breve soggiorno in Sicilia. Appena indossato, notai con stupore che quel pigiama aveva risvegliato delle sensazioni fisico-emotive inaspettate; come se ad un tratto avessi riattivato quella vecchia parte di me che con gli anni si era assopita, per lasciare il posto ad un nuovo me stesso. Se è vero dunque che l'abito non fa il monaco, è altrettanto vero che l'abito del monaco, impregnato di incenso e leggermente rovinato dal tempo,  può emanare negli altri un'aura invisibile di sacralità e mistero. La prima stanza, quella dell'autoreferenzialità creativa e della speculazione formale, era stata un fallimento assoluto; la seconda, concettualmente ed eticamente valida, risultava forse troppo "programmata" e asettica dal punto di vista emotivo. Avevo bisogno di qualcosa di nuovo, più intimo, che uscisse fuori dalle modalità espressive che avevo sempre utilizzato, il mio "porto sicuro", per lanciarsi nell'ignoto di un mondo inesplorato. Dovevo abbandonare la centralità dell'immagine quale mezzo espressivo e le tematiche socio politiche, per sperimentare una poetica spoglia da ogni vincolo visuale e che esplorasse finalmente la mia sfera emotiva ed i miei affetti.